Relazione p. Giuseppe 29/05/2016

“Amici della scuola apostolica” – Onlus
Giornata di spiritualità
Scuola Apostolica “S. Cuore” – v. L. Dehon,1 – Albino (Bg):
29 maggio 2016
(meditazione di p. G. MORETTI)

La crisi dell’Eucaristia è evidente e ancora in crescita. A Milano 88 battezzati su
cento non assistono alla Messa domenicale, e ci sono regioni d’Italia dove la
situazione è ancor più preoccupante. Ma è questa la vera crisi, o essa sta più in
profondità? Proviamo a ritornare sulla “consegna” che ci ha fatto Gesù la sera prima
di morire e domandiamoci che cosa non è stato colto in quella sua offerta.
“NELLA NOTTE IN CUI VENIVA TRADITO …”
Con queste parole il testo della III Preghiera Eucaristica introduce il momento
più intenso della Messa. “Tradito” nel doppio significato della parola: pugnalato alle
spalle, consegnato agli avversari. Le parole vogliono collocare l’istituzione
dell’Eucaristia in un momento spirituale preciso; è la risposta veramente grande
all’incomprensione, all’abbandono e al tradimento. Basterebbe questo per sottrarre
l’Eucaristia ad ogni forma di devozione sentimentale, dolciastra. Il Maestro vuol
lasciare ai discepoli,di allora e di sempre, la sua eredità: incarnazione, vita,
messaggio, morte, risurrezione. Un dono per tutti e per sempre; un dono che investe
tutta la storia umana. A noi il compito di capirlo e di testimoniarlo.
UN AMMONIMENTO IN ANTICIPO
La cosiddetta “moltiplicazione dei pani” è raccontata 6 volte dai Vangeli, segno
che la cosa aveva veramente impressionato le prime comunità. Nel IV vangelo ha una
risonanza inattesa. La reazione dei presenti era stata entusiasta: «Allora la gente, visto
il segno che egli aveva compiuto, cominciò a dire: «Questi è davvero il profeta che
deve venire nel mondo!». L’evangelista sottolinea la determinazione di Gesù nel
sottrarsi all’equivoco: «Ma Gesù, sapendo che stavano per venire a prenderlo per
farlo re, si ritirò di nuovo sulla montagna, tutto solo. Venuta intanto la sera, i suoi
discepoli scesero al mare e, saliti in una barca, si avviarono verso l’altra riva in
direzione di Cafarnao».
La folla, però non demorde e, il mattino dopo, lo viene a cercare. A quel punto Gesù si sente in dovere di chiarire alcune cose e lo fa con un discorso mozzafiato.
I presenti, riferendosi alla manna, la definiscono un dono di Mosè; ma Gesù ribatte che il “pane dal cielo” lo dà il Padre: «Il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo». A questo punto la curiosità dei presenti si trasforma in diffidenza. Gesù, allora, rompe gli indugi e parla loro con parole che non lasciano più dubbi: «Io sono il pane vivo, disceso dal cielo». Adesso parla chiaro, ma la gente mormora disorientata dalla sua pretesa: ««Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? Di lui conosciamo il padre e la madre. Come può dunque dire: Sono disceso dal cielo?». Hanno capito dove sta andando a parare, e Gesù insiste e fa il suo affondo:
«Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».
52 Allora i Giudei si misero a discutere tra di loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?». 53 Gesù disse: «In verità, in verità vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita. 54 Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. 55 Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. 56 Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui. 57 Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia di me vivrà per me. 58 Questo è il pane disceso dal cielo, non come quello che mangiarono i padri vostri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».
La promessa che Gesù lega alla sua proposta è molto grande: «la vita eterna». “Vita eterna” non sta per “aldilà”, ma per condivisione della vita stessa di Dio, che è vita eterna. I suoi ascoltatori sono ancora alle prese con il disagio suscitato in loro dalla sua pretesa: «Io sono il pane disceso dal cielo». L’irritazione è palpabile e forse volano parole grosse dai presenti, ma Gesù non si ferma: sta lasciando la più incredibile eredità a quelli che crederanno in lui.
Al termine di queste affermazioni di Gesù si fa il vuoto attorno a lui. Rimangono solo i dodici, disorientati da queste parole del loro Maestro, ma che non hanno il coraggio di voltargli le spalle; la risposta di Pietro li interpreta: «Signore, da chi andremo?Tu hai parole di vita eterna». Vediamo il perché di questa crisi della popolarità di Gesù, perché forse il fraintendimento tocca anche noi.

UNA PROPOSTA SCANDALOSA?
NO, AUDACE

Mangiare la carne , bere il sangue, sembra, nel nostro linguaggio, antropofagia, ma non per i semiti di quel tempo. Carne e sangue, nel nostro vocabolario , indicano delle realtà materiali, per gli uditori di quel tempo e di quell’ambiente indicavano la persona in senso spirituale. Gesù era nato in una località (Betlehem) che in ebraico significa “casa del pane”, ed era stato adagiato in una mangiatoia. Era un’allusione al suo destino di alimento per la vita degli uomini?
Mangiare voleva dire, nel discorso che sta facendo, assimilare la sua mentalità, il suo pensiero, il suo modo di vedere e di giudicare … Ovvio che suonassero come una pretesa assurda per loro che sapevano che “il pane del cielo” era la Legge donata da Dio attraverso Mosè. Ora questo carpentiere di Nazareth di cui conoscevano padre e madre e paese di provenienza avanza la pretesa di esser lui la Torà (la Legge).
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Mangiare e bere qui significa nutrirsi e assimilare una mentalità radicalmente nuova. È una proposta veramente audace, un cambiamento radicale, un’inversione di centottanta gradi della vita. Solo lui poteva osare tanto.
A noi, dopo duemila anni di cristianesimo, durante i quali di Gesù di Nazareth abbiamo fatto una bandiera per le battaglie più diverse, la sua pretesa più audace ha perduto la sua forza, annegata nelle elucubrazioni teologiche o nei devozionismi sentimentali. Quella di Gesù era, invece una concreta richiesta destinata a coinvolgere i credenti in un’avventura straordinaria, la sua.
NON SI SENTE, NON SI ASCOLTA
LA MESSA, LA SI VIVE
LA PARTE PIÙ IMPORTANTE DELLA MESSA
Un catechista chiese un giorno a un gruppo di adolescenti, che si preparavano alla Cresima: “Qual è la parte più importante della Messa?” La maggioranza rispose: “La Consacrazione”. Ma uno disse: “La parte più importante è il rito di congedo”. Il catechista stupito chiese: “Perché dici questo?” Ed egli rispose: “La Messa serve a nutrirci con la Parola, il Corpo e il Sangue del Signore. Però la messa inizia quando termina, quando usciamo nelle strade per andare a fare e dire quello che hanno detto i discepoli di Emmaus: Abbiamo riconosciuto il Signore nella frazione del pane, ed è vivo e vive per sempre e per noi”. P. Félix Jiménez
Il nostro linguaggio tradisce quello che pensiamo dell’Eucaristia: dire, ascoltare, sentire … la Messa. Il termine esatto sarebbe “partecipare”, che significa letteralmente “prendere parte”. Nella Messa non ci dovrebbero essere spettatori, ma solo protagonisti. Si è confuso il rito, la celebrazione con l’Eucaristia. Ci sono tante Messe (celebrazioni), ma c’è una sola Eucaristia, quella che Cristo ha celebrato la sera prima di morire, durante la quale egli ha voluto sottrarre quel momento straordinario al tempo e allo spazio per renderlo presente in qualsiasi luogo e in qualsiasi tempo in cui si celebri il Mistero di quel dono.
L’Eucaristia è com-unione non solo con il Pane, ma ancor prima con la Parola. Si era arrivati al punto di concentrare tutto sul fatto di prendere quel Pane, come se il resto fosse solo … contorno. Questo forse anche da parte dei sacerdoti. Era entrato in uso persino il fare la Comunione fuori della Messa (o prima della Celebrazione e subito dopo). Ovvio che ci sono circostanze nelle quali è difficile o impossibile partecipare alla celebrazione, ma anche in quei casi il rituale chiede che si leggano prima dei testi biblici. Ricevere il Pane eucaristico senza la Parola, rischia di diventare un gesto magico. La stessa formulazione del precetto “confessarsi almeno una volta all’anno e comunicarsi almeno a Pasqua” lascia quasi intendere che si tratta di ricevere quel Pane una volta all’anno e non di fare dell’Eucaristia l’anima della propria vita quotidiana, come, invece, Gesù proponeva.
Erano i tempi in cui era entrato il gesto di alzare l’ostia e il calice dopo la consacrazione, per mostrarli ai fedeli. Pochissimi ormai si accostavano all’Eucaristia, almeno così la potevano mangiare con gli occhi. Non possiamo dire che questa fosse la risposta adeguata al momento.
L’Eucaristia è per il cambiamento della vita, per un’assimilazione alla mentalità e al pensiero del Maestro. Non è il numero delle Messe che ci cambia, ma l’essere permeati del Mistero del sacrificio che Cristo ha vissuto per noi. Gesù ha celebrato una sola Eucaristia e ha cambiato la storia umana.
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CELEBRAZIONE E DEVOZIONE EUCARISTICA
Non sono tantissimi, ma ci sono coloro che partecipano alla celebrazione quotidiana dell’Eucaristia. È una devozione che si è diffusa nel tempo, ma che dovrà presto fare i conti con il calo del numero dei sacerdoti.
Rimangono, al riguardo di questa devozione quotidiana, delle domande. “Perché quelli che vanno a Messa tutti i giorni alla fine si comportano come tutti gli altri?” (I sacerdoti che celebrano tutti i giorni sono nel numero degli assidui). È un luogo comune , usato spesso da chi vuol coprire e difendere la propria pigrizia, ma ha una sua parte di vero. Se l’Eucaristia che Gesù ha celebrato quella sera ha cambiato il mondo, perché tante celebrazioni ascoltate non ci cambiano?
Ritorniamo così sul discorso iniziale. Alla domanda della gente che lo cercava, Gesù risponde: «In verità, in verità vi dico, voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. Procuratevi non il cibo che perisce, ma quello che dura per la vita eterna, e che il Figlio dell’uomo vi darà». Cosa chiediamo all’Eucaristia a cui partecipiamo? L’Eucaristia non è per ottenere qualcosa visto che, come dice Gesù nel Vangelo secondo Matteo «Il Padre vostro che è nei cieli sa di che cosa avete bisogno prima che glielo chiediate», l’Eucaristia è per “capire” il disegno del Padre su di noi e sulla vicenda umana in cui siamo inseriti. È nella preghiera che noi troveremo lo spunto per essere guidati a capire.
Con una leggenda indiana cerchiamo di riassumere il problema su cui stiamo riflettendo.
IMPERMEABILITÀ
Un grande maestro indiano si sta bagnando nelle acque del Gange, il fiume sacro. Un discepolo si avvicina e gli pone una domanda: “Perché dopo secoli di insegnamenti di Buddha la gente continua ad odiare, a rubare, a uccidere? E perché anch’io dopo tanti anni che seguo i tuoi insegnamenti non sono ancora cambiato”. Il guru non rispose. In silenzio immerse la mano nell’acqua ed estrasse un ciottolo, levigato dall’acqua dov’era immerso forse da milioni di anni. Lo batté contro la roccia della riva e mostrò i due pezzi al giovane. Dentro il sasso era perfettamente asciutto. “Non basta – disse al giovane – essere nell’acqua per tanto tempo … se non si è permeabili”

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